La capra di Pavlov

sgarbi_capraCari cittadini,
sicuramente avrete appreso dai manifesti – frettolosamente affissi – che domani ci sarà la presentazione dell’ennesima fatica letteraria di Vittorio Sgarbi.
Ogni volta che ci sono dei fondi regionali da spendere, il nostro sindaco, scimmiottando Ivan Pavlov, si mette a suonare la campanella stimolando la salivazione del grande critico d’arte che, prontamente, arriva scodinzolando (anche se l’appellativo di “capra” nel suo caso è sicuramente più adeguato). È tutta colpa del riflesso condizionato.
Il problema sta nel fatto che il vero cane di Pavlov si limitava a qualche boccone, invece la nostra capra gradisce solo i fondi regionali ed è un animale poco riconoscente.

La capra, nelle sue numerose ospitate televisive e nelle interviste rilasciate ai giornali, cita sempre il Preti ma ovviamente dimentica di citare anche Taverna, eppure ci è sembrato di capire che il paese lo conosca molto bene, anche se in realtà ci viene solo a rimpinguare le proprie finanze.

Ora che la chiusura del centenario si avvicina, siamo assaliti da un dubbio: ma un altro critico d’arte non c’era? Perché chiamare un pluricondannato? Perché continuare imperterriti a foraggiare questo cialtrone – nonché diffamatore professionista – invece di pagarne uno serio?

Le risposte a questi quesiti non le avremo mai, invece i meriti della capra sono evidentissimi:

Condanna per assenteismo e produzione di documenti falsi:
Nel 1996, con sentenza definitiva della Pretura di Venezia, è stato condannato a 6 mesi e 10 giorni di reclusione per il reato di falso e truffa aggravata e continuata ai danni dello Stato, per produzione di documenti falsi (per la richiesta di aspettativa per motivi di salute) e assenteismo nel periodo 1989-1990, mentre era dipendente del Ministero dei Beni culturali, con la qualifica di funzionario ai Beni artistici e culturali del Veneto, e al tempo della sua partecipazione al Maurizio Costanzo Show. Condannato a pagare un indennizzo di 700 000 lire, il critico d’arte si giustificò affermando che la sua assenza dall’ufficio dipendeva dall’impegno per la redazione d’un catalogo d’arte, e parlando di “arbitrio, discrezionalità e follia” a proposito della sentenza. (fonte: Wikipedia)

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