Disastri della politica

Oggi si contano i morti della Sardegna, ieri abbiamo contato i morti degli altri territori italiani, compresi quei 13 morti dell’alluvione di Soverato. Scriveva qualcuno che “questi morti sono morti in regola con la legge”. Infatti,  con le leggi approvate da queste classi dirigenti si è scientemente consentito che tutto ciò si verificasse.
Questi morti come capita da sempre in Italia, servono solamente per la retorica e per gli impegni solenni che non verranno mai mantenuti. Il sacrificio, il dolore di quanti li hanno amati serve solamente per quell’attimo, esso si, veramente fuggente.
Poi, il giorno dopo ritorna tutto come prima, aspettando la prossima alluvione, la prossima strage carica di morte.
Soverato, Sarno, Crotone, Cavallerizzo, Vibo, Giampilieri (ME), l’alluvione in Calabria del 2009 (Gennaio e Settembre), Reggio Calabria, Genova, Catanzaro ed oggi la Sardegna. di questi giorni. L’elenco è lunghissimo ed è facile dimenticarne di città e di luoghi piccoli e grandi.
Le leggi approvate in questi 20 anni continuano a provocare questi disastri, veri e propri disastri della politica.
Il degrado ambientale nella nostra regione regna sovrano. Lo verifichiamo quotidianamente quanto fragile è divenuta questa nostra regione per responsabilità di parte consistente della classe politica che ha proposto e continua a proporre ed a praticare scelte di sviluppo devastanti e illusorie, come il Ponte sullo stretto, la cementificazione delle coste e dei corsi d’acqua, la mancata manutenzione delle nostre fiumare, i condoni edilizi, la politica irrazionale dei porti e gli incendi estivi.
Queste scelte sono la rappresentazione di questo degrado.
Tutto ciò è Il contrario di una politica di risanamento e qualificazione ambientale e urbana, unica in grado di garantire maggiormente la sicurezza.
Il Consiglio regionale si è spinto ad approvare, su proposta del centro- destra, la legge dal titolo:  “Misure straordinarie a sostegno dell’attività edilizia finalizzata al miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale”, che è l’applicazione del cosiddetto “piano casa” voluto a suo tempo da Berlusconi, che ha come unica missione quella di favorire la speculazione edilizia e l’abusivismo edilizio, essa è stata di fatto un condono preventivo e gratuito, quindi, peggiore dei condoni edilizi. Questa legge è in sintonia con coloro che ritengono che il territorio è una risorsa da rapinare.
Ciò è l’esatto contrario della tutela e messa in sicurezza del territorio attraverso un piano di risanamento che occupi centinaia di migliaia di giovani.
Una politica che non si affida all’impresa ed al mercato, che nei fatti non ha risolto nessun problema ambientale, ma che al contrario sceglie una nuova economia che promuova lavoro ed ambiente e che in sostanza si contrappone al CAPITALE CHE NEI FATTI CONCRETI È CONTRO LA NATURA.
Gli effetti dei cambiamenti climatici risultano accentuati da una situazione di grave dissesto idrogeologico. Nessuno si preoccupa di un territorio sempre più compromesso.
Uno dei tanti epicentri del degrado del territorio nazionale è la CALABRIA.
La regione Calabria – un sistema prevalentemente montuoso con violente pendenze dirette al mare – é un compendio di tutti i più gravi problemi del territorio.
Qui da noi si combina la fragilità ambientale del sistema geomorfologico, ai complessi e dinamici equilibri dell’assetto idrogeologico ed idraulico, ai fenomeni di erosione dei litorali marini, al rischio sismico, all’utilizzo indiscriminato delle risorse estrattive.
La Calabria è uno dei punti più avanzati di deficit di attenzione alla tutela e pianificazione del territorio, che ci autorizza ad affermare che ci troviamo di fronte ad un vero e proprio DISSESTO URBANISTICO. Da qui discende la principale causa del degrado ambientale e del dissesto idrogeologico.
IL DISSESTO IDROGEOLOGICO, capillare e diffuso, è dovuto ad una molteplicità di fattori, per lo più criminali.
Il dissesto idrogeologico è figlio di quella assoluta assenza di manutenzione del territorio, di definizione degli interventi di messa in sicurezza delle aree a rischio, di tutela idrogeologica ed ambientale, che inevitabilmente provocano le stragi e le tragedie.
Se ciò è avvenuto è perché le classi dirigenti di questo paese e di questa regione hanno ritenuto che qualsiasi programmazione o pianificazione territoriale fossero vincoli fortemente inaccettabili per la realizzazione del massimo profitto.
Questo è il risultato del liberismo più sfrenato che ritiene la terra elemento da mercificare, che può tranquillamente essere scippata alle donne ed agli uomini, alla stessa natura, facendola divenire elemento fondamentale di nuova accumulazione, di valorizzazione del capitale.
Rimanendo all’interno di questo paradigma, disquisire di prevenzione, diviene cosa fortemente pretestuosa in quanto è notoriamente acclarato che essa non rientra nelle dinamiche del mercato, perchè non è fonte dalla quale possono realizzare profitto l’industria della catastrofe e del cemento.
Se, al contrario, si ricostruisce uno “spazio pubblico” che pretende che, soprattutto nel rapporto con l’ambiente, con la natura e con il territorio, si reintroducano con forza termini, non solo nel linguaggio ma soprattutto nelle scelte politiche, quali la prevenzione, la programmazione, la pianificazione, la rinaturalizzazione, diverrà possibile evitare la conta dei morti.
Ciò significa anche rompere quell’intreccio di interessi e di responsabilità che legano fortemente classi dirigenti, ‘ndrangheta, massoneria e settori della stessa magistratura, che  continuano ad alimentarsi  dalla speculazione edilizia selvaggia, dall’assenza di una programmazione urbanistica, da un abusivismo incentivato per essere poi sanato.
E’ necessario smetterla con la politica emergenziale. Non si deve solo intervenire per “riparare il danno”, perché non solo ha dei costi superiori alla prevenzione, ma soprattutto perché non risolve il problema. Bisogna compiere scelte che abbiano il respiro e l’ambizione di rappresentare una reale inversione di tendenza verso l’adozione di una vera politica di prevenzione, di programmazione, di rinaturalizzazione e di risanamento.
Fondamentale diviene determinare finanziamenti adeguati, sulla base di una programmazione pluriennale certa e costante.
Il problema è l’assoluta inadeguatezza delle risorse messe a disposizione. E’ necessario un apposito fondo per la ricostruzione delle zone alluvionate e per il ripristino e la messa in sicurezza delle zone, delle città, dei luoghi individuati a rischio ambientale, a seguito della devastazione del territorio.
Il punto politico fondamentale rimane, comunque, quello di una incapacità a farsi carico di una  riforma complessiva sul capitolo della prevenzione e del ripristino delle condizioni naturali.
In nuce,  si tratta di porre con forza la necessità di un diverso modello di sviluppo che ha come punti fondamentali maggiori aree destinate a parchi e riserve, l’utilizzo sostenibile a fini produttivi del bosco e la macchia mediterranea, che consenta nei fatti il reinsediamento dell’uomo in una parte del territorio calabrese dal quale per anni si è fatto di tutto per farlo scappare.
Un diverso modello che si contrapponga alla cosiddetta modernizzazione capitalistica, che pensi all’ambiente come ad una risorsa fondamentale e primaria fonte di sviluppo, che non riproponga le grandi opere come “il ponte sullo stretto”, ma che di fronte alla portata del dissesto veicoli tutti gli sforzi economici per un grande piano di risanamento delle infrastrutture e della sicurezza del territorio, che impieghi decine di migliaia di persone in lavoro di qualità.

21 novembre 2013

Pino Commodari

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